sabato 27 ottobre 2007


Nell’Ottocento (e anche per larga parte del Novecento) andava “di moda” l’elemosina. Soprattutto le famiglie per bene, le dame della buona borghesia si mettevano insieme e la sera, o il pomeriggio, fra trine e merletti, sospiravano per i poveri orfanelli, per le fanciulle senza dote, per i vecchi morenti diseredati. Sospiravano e raccoglievano un po’ di soldi, da dare, volta a volta e caso per caso, a chi, apparentemente, sembrava loro più bisognoso. Inoltre si aiutava soprattutto chi aveva una condotta morale più edificante, più giusta. Se un uomo o, ancor peggio, una donna, avevano bisogno ma possedevano una cattiva fama, allora era veramente dura ottenere un aiuto. Questo, si pensava, avrebbe dovuto spingere tutti i poveri e bisognosi a tenere una condotta morale allienata alla morale dell’epoca. In realtà chi era nella miseria (soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale) spesso non aveva modo di seguire la morale dell’epoca, tutto compresi a sopravvivere tra malattie, fame e pidocchi.
Oggi abbiamo smesso di parlare di elemosina. Sappiamo che per aiutare gli altri bisogna fare qualcosa di più difficile e duraturo che dare qualche monetina. Ad esempio fare una scuola, edificarla, fornirla di quel che serve e mantenerla nel tempo. Ma soprattutto serve fare le cose INSIEME. Non deve mai essere un dono, un contributo arrivato da “sopra”, ma un frutto di un progetto di collaborazione. È chiaro che, ad esempio, in Costa d’Avorio non hanno molti mezzi, ma parteciperanno anche loro con le loro quote a costruire e gestire la scuola, secondo le loro disponibilità. E poi si impara a fare le cose fuori dalla morale. A meno che una persona non commetta dei veri e propri reati, la sua condotta di vita non deve riguardare nessuno oltre la sua stessa coscienza.
L’aiuto si dà gratis, a tutti, cercando solo la collaborazione, e senza fare domande…
“All’ombra dell’ultimo sole / s’era assopito un pescatore / che aveva un solco lungo il viso / come una specie di sorriso”

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