Ci sono delle innegabili differenze tra i popoli, tra le etnie, tra chi abita zone diverse della nostra terra. Ad una prima occhiata c’è chi potrebbe presumere una certa superiorità di alcuni sopra altri, una vaga convinzione che chi vive, ad esempio, nella foresta sia più “arretrato” di chi vive in una città. Questo non sarebbe vero neppure se ci fossero dappertutto le stesse condizioni, gli stessi ambienti. Ancor meno lo è quando ci sono tante differenze tra i posti in cui questa gente vive.
Cerco di spiegarmi meglio: un ricercatore tra i boscimani potrebbe pensare di possedere cultura e civiltà: nel suo paese ci sono aerei e televisioni, telefoni, medicinali, trapani e forni a microonde. Tra i boscimani si va a piedi, si caccia con una lancia che il cacciatore si costruisce da sé, si cucina sul fuoco tra le pietre e non c’è elettricità.
Allora è interessante leggere quel che racconta Alberto Salza su “La Stampa” del 13 ottobre, pag. 41.
“Vivevo con i boscimani da un anno quando chiesi all’uomo più vecchio del gruppo di avere anch’io un ruolo nella comunità. Volevo cacciare, come facevano gli altri uomini, ma il vecchio rispose di no: “Tu puzzi e fai un sacco di chiasso con le scarpe, gli animali scappano”. Allora proposi di partecipare alla raccolta di vegetali spontanei con le donne. Altro rifiuto del vecchio: “Qui è pieno di piante velenose, le conosci tutte?”. Avrei potuto avere lo status e compiti del bambino? Nemmeno: non ero abile a cacciare i bruchi e le lucertole che integravano la dieta. Il vecchio rilanciò: potresti fare la bambina. Le bambine preparavano gli ornamenti per le cerimonie: fui ammesso a fare le perline”.
L’uomo bianco quasi inutile e incapace a vivere nella foresta…
Cerco di spiegarmi meglio: un ricercatore tra i boscimani potrebbe pensare di possedere cultura e civiltà: nel suo paese ci sono aerei e televisioni, telefoni, medicinali, trapani e forni a microonde. Tra i boscimani si va a piedi, si caccia con una lancia che il cacciatore si costruisce da sé, si cucina sul fuoco tra le pietre e non c’è elettricità.
Allora è interessante leggere quel che racconta Alberto Salza su “La Stampa” del 13 ottobre, pag. 41.
“Vivevo con i boscimani da un anno quando chiesi all’uomo più vecchio del gruppo di avere anch’io un ruolo nella comunità. Volevo cacciare, come facevano gli altri uomini, ma il vecchio rispose di no: “Tu puzzi e fai un sacco di chiasso con le scarpe, gli animali scappano”. Allora proposi di partecipare alla raccolta di vegetali spontanei con le donne. Altro rifiuto del vecchio: “Qui è pieno di piante velenose, le conosci tutte?”. Avrei potuto avere lo status e compiti del bambino? Nemmeno: non ero abile a cacciare i bruchi e le lucertole che integravano la dieta. Il vecchio rilanciò: potresti fare la bambina. Le bambine preparavano gli ornamenti per le cerimonie: fui ammesso a fare le perline”.
L’uomo bianco quasi inutile e incapace a vivere nella foresta…
2 commenti:
Qui si entra nell'antropologia... che è una materia che andrebbe insegnata fin dall'asilo, perchè è l'unica in grado di far comprendere come le differenze ci rendano, scusate il bisticcio, davvero tutti uguali. Almeno negli essenziali. Ed è l'unica che può dimostrare, con la semplice evidenza dei fatti, che cambiando il punto di vista si può addirittura invertire l'ordine dei valori, per imparare che non siamo al cnetro del mondo, con la nostra cultura ele nostre idee. Certo, personalemnte trovo pericolosa anche una possibile deriva relativista, ma come tutte le cose, se prese con ragione, metodo, e spirito critico, non può che far bene a delle menti aperte e senza pregiudizi.
Dimenticavo: in effetti l'affermazione riportata è proprio quella di un antropologo.
Bravo Davide: puntuale e attento.
Già: spirito critico, mente aperta...
Non dimentichiamoceli mai!
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