giovedì 27 settembre 2007

Muri africani, muratori plodiesi...



Sono "brik" e non mattoni, quelli che si vedono nella foto. Cioè, sempre mattoni sono, solo che si fanno sul posto, con sabbia e (poco) cemento. Sono grandi e vuoti. Gli ivoriani fanno un piccolo scavo, niente fondamenta e poi cominciano a impilare, con poca calce tra un "brik" e l'altro.
E non c'è un negozio dietro l'angolo dove puoi comprare una cazzuola, se ti serve, una riga, una livella. Devi "arrangiarti". E poi, spiega Dino, negli angoli dei muri, hanno l'usanza di non fare legare i mattoni. I muri arrivano a sfiorarsi appena nell'angolo del mattone. Dopo, a muro finito, si mette una tavola e si "getta" un pilastrino che lega i due muri perpendicolari. Anche questo ha la sua difficoltà, soprattutto abituare dei validi muratori valbormidesi a seguire metodi di costruzione africani. Tutti lavorano ma non c'è sempre tutto quel che serve pronto a disposizione. Chi è nervoso sappia prenderla con calma. E poi c'è il calore e ancor di più l'umidità. E non c'è un bar dove scolarsi una birra fresca. C'è l'acqua, buona, del pozzo o confezionata, per tutti. Così la sera ci si sente sfiniti, esausti per il gran calore, la grande cappa di umidità, la fatica del lavoro ma la fatica anche di farsi capire. E poi ti capita di incontrare un paio di occhi così, come dire... gli occhi che possono essere solo quelli di un bambino o di una bambina, sono gli occhi del nostro "datore di lavoro", e la stanchezza della giornata, la fatica e la sete, il caldo e l'umidità, trovano la loro motivazione.
Tutti a dormire: domani si comincia il tetto.

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