Io che scrivo queste note, tempo fa ho avuto il piacere di parlare con un amico, il quale non gradisce essere nominato, che ha operato in Africa per molto tempo, come missionario cattolico. Gli avevo chiesto come mai in Africa la gente muore di fame. E lui mi ha risposto che nessuno là muore di fame, a meno che non ci sia una guerra, una carestia grave, un abnorme movimento di popolazioni a seguito di una guerra. Nei villaggi non si è mai soli. Se ad un uomo manca il pane, qualcuno provvederà ad aiutarlo. Non ci sono bambini orfani: tutte le donne adulte del villaggio sono la mamma di ogni bambino. Sono bastate queste quattro parole per confermarmi ancora una volta che io dell’Africa so una sola cosa: niente. Nel senso che quello di cui sono convinto, che mi hanno spiegato, che mi hanno trasmesso, sono immagini semplificate, scandalose anche, ma se non vengono messe nel loro contesto finiscono per fare solo confusione.
In Africa oggi (e da tempo, ormai) si vive, spesso, ma non dappertutto, in una condizione di miseria diffusa. La miseria è quella cosa per cui se va tutto bene sopravvivi. Se qualcosa va storto non hai nulla per difenderti.
In Africa oggi (e da tempo, ormai) si vive, spesso, ma non dappertutto, in una condizione di miseria diffusa. La miseria è quella cosa per cui se va tutto bene sopravvivi. Se qualcosa va storto non hai nulla per difenderti.
Leggevo qualche giorno fa un bel libro di Luigi Ferrando "A tavola con i del Carretto". Prima di parlar di cucina l’autore parla della nostra Valle nei tempi antichi, definisce molto bene quel sistema economico chiamandolo "economia dell’autosufficienza". Tutto quello che produceva una cascina (tolta la parte del padrone, se c’era) doveva servire come scorta alimentare, semente per l’anno nuovo e merce per comprare quel che non si produceva: sale, stoffa, pesce, supellettili. Cosa avanzava? Niente. Tutto (e a volte anche di più) era consumato. Bastava un anno asciutto, o piovoso, o la grandine, o una brinata, o un esercito (napoleonico o austriaco o ancora savoiardo) di passaggio per ridursi sul lastrico per anni.
Nelle cascine nessuno moriva di fame: si andava dal vicino, in primavera, a chiedere due patate, un sacco di castagne. Nessun bambino era da solo: chiunque, nella borgata, lo conosceva e lo guardava quasi come suo.
Ma ci sono poi tanti kilometri tra noi e l’Africa?
E poi, oggi, il nostro mondo, non avrà bisogno di imparare qualcosa dall’Africa? Qualcosa che abbiamo dimenticato?
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